Al mattino mi alzo molto presto, varco le stanze in punta di piedi . Mi piace sorprendere il silenzio. In cucina mio marito mi aspetta per bere il caffè insieme e inzuppare due parole in un sorriso, prima che esca per andare a lavorare. Io invece resto, preparo la colazione a Jacopo, prima di accompagnarlo a scuola.
Nella prima casa in cui abbiamo vissuto appena trasferiti , ho ripetuto lo stesso gesto per un paio di anni, appena mio marito usciva. Aprivo le persiane e aspettavo che mio marito guardasse su, verso la finestra, per regalargli un ultimo cenno di saluto, mentre si avviava, guidando, verso il centro città. Ed è proprio in questo momento di attesa, in un mattino qualunque alla finestra, che si è inserito un altro attimo, inconsapevolmente diventato parte del nostro saluto.
Di fronte alla finestra c’era la fermata dell’autobus e sulla panchina, ogni mattina, un signore anziano aspettava l’autobus. Aspettava l’autobus con un giornale. Un pacchettino con la colazione e la sua bicicletta.
Quando aprivo le persiane, lui alzava la testa. Ci fissavamo per pochissimi secondi. Sorridevo. Sorrideva. Alzavo la mano in un lieve e timido gesto di saluto. Lui tornava al suo giornale, sbocconcellando la sua colazione. Arrivava l’autobus. Lui saliva, caricando la sua bicicletta. Partivano. Lui, l’autobus, la bicicletta. Mio marito passava subito dopo, alzava lo sguardo. Ci salutavamo.
Non so dove fosse diretto questo signore. So solo che dietro ad un gesto amorevole tra me e mio marito, si è inserito un altro gesto, forse di conforto, forse solo educato, forse solo un’abitudine che può far bene al cuore, o forse nulla di tutto questo, forse solo un buongiorno in più che è diventato una routine. Mi sono spesso chiesta dove andasse. Ho immaginato andasse al lavoro. O in visita da qualche parente. Ho immaginato la sua storia. Il suo viaggio quotidiano.
In un gesto quotidiano così semplice come sorseggiare il mio caffè, aprire le persiane in un mattino qualunque, ho incontrato un’altra storia dentro la nostra storia. Ha qualcosa di magico. Divenne qualcosa di abitudinario. Un paio di mattine mi capitò di non vederlo. Mi preoccupai. Mi sono chiesta dove fosse, se stesse bene. Ricordo di aver guardato anche l’ora, pensando che fosse qualche minuto prima, o qualche minuto dopo, il solito orario. Così, si finisce per diventare pensiero nella testa di chi non conosciamo. Mi è sembrato bello. E ho voluto raccontarlo.